Stand Up. Alzati. Alzati, cazzo!
Se stai seduto non farai mai niente.
Se non muovi il culo, resti seduto e vedi la vita che ti attraversa senza accorgersi di te.
Mi sono alzato anche quando la vita mi ha tagliato le gambe.
Per questo giro con lo skate. La gravità e le rotelle mi portano avanti.
Giorno dopo giorno. Rima dopo rima.
Quello che ho capito da quando con un walkman sgangherato e una consolle da videogame cominciai a incastrare parole, è che solo la fatica mi gratifica.
Quando mi esprimo con le armi del microfono, sul beat, metto insieme i pezzi della mia vita.
Ogni volta che premo il tasto REC, mi alzo. I stand up.
Mi alzo e sorrido. Mi faccio una risata.
Non vale la pena intossicare l’ anima per gli altri, si perdono solo dei frammenti della propria vita.
Frammenti che non torneranno più.
Per questo semino parole per costruire, non per distruggere.
Costruisco ponti, guardo avanti e punto la mia meta, combattendo come un guerriero giapponese.
Anche quando mi sento strano e stranamente sconsolato, voglio andare lontano e a volte mi perdo tra ‘na vutat’ e ‘na girat’.
Quando salgo sul palco, sulle tavole di un centro sociale o su quelle dei contest internazionali, spicco il volo come un uccello in gabbia.
Ogni volta che osservo la gente che applaude e ascolta le mie parole in rima, le vedo intrecciate come un prezioso punto a croce.
Scendo dal palco e una scarica elettrica mi percorre lungo la schiena e si ferma proprio sopra l’osso sacro.
Mi sento un guerriero. Un fottutissimo guerriero.
Poso il microfono come una sciabola giapponese e mi rilasso.
La battle è finita.
Domani sarò pronto di nuovo a rialzarmi più forte di prima.
La vocina mi urla: stand up. Sus’t. Aiz’t.