Vincent – Con Safos

 “Sulla carta d’identità, nella sezione “professione” ho ancora scritto studente. Studio ancora. Studio sempre per migliorare la mia posizione.
Lo studio, l’approfondimento, la curiosità, sono le uniche armi che mi sono rimaste e che ancora non sono state sequestrate da un mondo armato fino ai denti di scalatori sociali e arrivisti incravattati.
Quando tre anni fa decisi di abbracciare il tortuoso cammino della professione artistica, sapevo a cosa andavo incontro. Destinato ad una vita di sacrifici ed incertezze. Una vita precaria. Instabile.
Ma chi ventenne oggi può dire di avere una posizione salda? Cosa c’è di stabile in un contratto bimestrale per lavorare in un fast food di provincia e servire pepsi e hamburger con uno stipendio di trecento euro al mese?
Quindi fanculo: “mamma, papà faccio il tatuatore!”.
Tre anni fa mi iscrissi al corso per imparare l’arte del tatuaggio e le tecniche rudimentali di questo bellissimo lavoro artigianale. Cominciai ad essere la cavia di me stesso. Mi tatuavo sul corpo per fare esperienza e prendere il tratto.
Tra i primi tatuaggi, mi incisi sul ginocchio la sigla C/S appartenente alla cultura chicana. È un codice di vita e di condotta che alla lettera si traduce “con rispetto”. In un’intervista, l’artista David Compton Orpeza ha affermato che con safos è uno stile di vita. Sta a significare
“sapere cos’è il rispetto, riconoscerlo, sapere che persona si è e cosa hanno fatto alla mia gente”.

Vincent –  Con Safos

Simone – Mariantonia e Agostino

“Un topolino porta in grembo i suoi figli per trenta giorni.
La gravidanza di mamma elefante può durarne seicento.
Mia moglie, Mariantonia si è presa cura nel suo corpo di Agostino, nostro figlio, per poco meno di nove mesi.
Agostino l’ho portato in grembo anche io per molto tempo.
Era nato in me, già da qualche anno. Addormentato tra i miei pensieri, si svegliava all’improvviso ogni qualvolta la mia compagna di vita mi sorrideva con i suoi occhioni grandi e il suo viso perfetto come un’antica bambola di porcellana.
Poi il frutto di un amore nato quindici anni prima, tra sguardi complici e birre d’estate ha fatto il suo corso.
Ogni anno aggiungevamo un pezzetto di puzzle della nostra vita, fin quando un giorno senza farsi tante domande ci siamo sposati.
Così all’improvviso, senza una richiesta ufficiale come avviene nei film americani ci siamo trovati all’altare.
Ora siamo una famiglia pronta ad accogliere una nuova vita.
È in arrivo una sorellina per il piccolo Agostino.
Un altro motivo di orgoglio per me.
Un altro motivo di orgoglio per Mariantonia.
La mia donna. La mia-donna. La mia ma-donna”.

 

Simone – Mariantonia e Agostino

Simone – Dalla parte del torto


“La vita stanca. Ho bisogno di sedermi.
Ho trovato le sedie delle ragione sempre occupate, per questo ho cominciato a prender posto dalla parte del torto.
All’inizio stavo scomodo, poi c’ho preso gusto.
Osservo impietosito il perbenista di turno che mi punta il dito con disprezzo.
Ha le mani pulite e la coscienza sporca.
Cosa cazzo hai da guardare?
Avevo bisogno di una pazzia, di un gesto estremo, di qualcosa che lasciasse una traccia.
Volevo uno segno di riconoscimento, qualcosa che mi facesse urlare al mondo: questo sono io.
Punto.
Fin da piccolo osservavo incuriosito gli insetti, ne ammiravo la perfezione della natura che si sviluppava attraverso le forme di questi esseri piccolissimi.
Tra i tanti ero rapito dalla bellezza e dall’eleganza dello scarabeo Golia.
La grandezza di questo insetto è nel fatto che all’inizio della sua vita, da larva, si nutre di piante morte e di escrementi. Trasforma il rifiuto in vita per se stesso. Quanti rifiuti personali si sono trasformati in lezioni di vita? Per questo, ora resto seduto comodamente sulla sedia del torto, osservando la vita che mi avvolge in un abbraccio sensuale sotto le luci soffuse di questi tramonti, sperando di spiccare il volo, come mi ha insegnato il mio scarabeo tatuato in gola”.

Simone – Dalla parte del torto