“All’età di otto anni, strimpellavo già qualche nota con la mia chitarra della Bontempi.
Dopo un po’ quel giocattolo non mi bastava più.
Volevo uno strumento musicale vero.
I miei genitori mi comprarono una chitarra in legno. §
A volte,da piccolo, la posizionavo in verticale e la utilizzavo per controllare la mia altezza.
All’inizio, la chitarra, era più alta di me.
Mi chiedevo come era possibile che un pezzo di legno e qualche corda potesse emettere quelle melodie così coinvolgenti.
Nonostante questo solido legame, durante gli anni di liceo, la mia chitarra rimase sotto al letto ad impolverarsi.
Non era un addio.
Mi aspettava lì in silenzio, senza fretta, nell’attesa che mi decidessi a riabbracciarla.
E così fu.
Un giorno all’improvviso i miei cominciarono ad urlare.
Un vortice di litigi familiari portò la mia famiglia a frantumarsi come un pregiato piatto di Capodimonte.
In quel trambusto, la mia chitarra era pronta a risorgere a nuova vita.
Iniziai un corso settimanale.
Mi esercitavo tutti i giorni a casa.
Questo mi faceva stare bene e mi distoglieva dalla situazione difficile che vivevo in famiglia.
La musica mi ha aiutato davvero tanto.
Quando ero in quella stanzetta con la chitarra in mano, avevo il pensiero rivolto esclusivamente alle note che dovevo suonare.
E questo mi rendeva felice.
Una barriera insonorizzata che soffocava i dispiaceri circostanti.
Ora per non dimenticare l’importanza della mia chitarra, l’ho tatuata qui sull’avambraccio”.